La passione per il vino rosso
Ho degustato un meraviglioso Barbaresco 2006, vino che nonostante l’invecchiamento stava in ottima forma, espressione di un grande territorio e di un grande uomo che ho avuto la fortuna di conoscere e che incontro di tanto in tanto, meno di quanto mi piacerebbe. Parlo del Barbaresco Santo Stefano, prodotto dall’azienda Castello di Neive di Italo Stupino, situata nell’omonimo paesino poco distante dal comune di Barbaresco. Neive, insieme a Treiso e San Rocco di Seno d’Elvio (frazione di Alba) e a Barbaresco è uno dei luoghi dove è possibile produrre il Barbaresco DOCG.
Neive deve il suo nome ad una nobile famiglia romana, Gens Naevia, anche se divenne un Comune soltanto verso la fine del XII secolo. L’attuale castello fu ultimato a metà del 1700, sulle fondazioni di una precedente fortificazione risalente al XVI secolo, periodo in cui Neive entrava nella sfera d’influenza sabauda. In questi luoghi, al servizio del Conte di Castelborgo, nel XIX secolo operò l’enologo e mercante Louis Oudart che attrezzò la cantina del castello e che, primo nell’area, come abbiamo visto nella storia dei Marchesi di Barolo che ho raccontato, produsse con le uve Nebbiolo un vino secco, di imponente struttura e grande longevità. Con il nome “Neive” ottenne una medaglia d’oro all’Esposizione di Londra del 1862 trent’anni prima dell’avvio della produzione del Barbaresco moderno.
L’azienda vitivinicola Valle delle Ferle sorge a pochi chilometri da Caltagirone, città in provincia di Catania nota soprattutto per il Carnevale e per le bellissime ceramiche che vi si producono. L’azienda si trova all’interno della zona del Cerasuolo di Vittoria, l’unica Denominazione d’Origine Controllata e Garantita della Sicilia. Siamo nel cuore della più antica strada del vino, che, secondo studi storici ed archeologici, si estenderebbe da Gela-Kamarina, attraverso le colline di Niscemi e Vittoria, passando per Caltagirone per poi proseguire verso Lentini ed arrivare fino a Catania.
Valle delle Ferle è la conclusione di un progetto, il risultato di una scelta di vita di due giovani ingegneri – Claudia ed Andrea – caratterizzata da passione, dedizione e dal rispetto per il terreno, per la vite e per il suo ciclo naturale. Con un’attenzione alla qualità che ha consentito all’azienda di avviare il percorso di conversione al regime biologico del vigneto che si concluderà quest’anno. Sorge in un luogo in cui è possibile incontrare la Sicilia più vera, sincera e autentica, con la sua terra, il suo calore e i suoi colori e profumi. Impiantato nel 1974, il vigneto si estende per 10 ettari ed è costituito interamente da Nero d’Avola e Frappato, le uve che contribuiscono anche all’uvaggio della DOCG. Parleremo oggi del Frappato vinificato in purezza appartenente alla denominazione Vittoria, uno dei tre vini prodotti in azienda.
Abbiamo già incontrato Allegrini, azienda della Valpolicella con una storia ultracentenaria nella produzione del vino, che in tempi più recenti ha esteso la sua offerta enologica ai prodotti di due tenute in Toscana. In quella occasione abbiamo parlato di una straordinaria Corvina in purezza, La Poja, da uve che non subiscono alcun appassimento. Adesso voglio raccontare la degustazione dell’Amarone Corte Giara, vino della più classica tradizione della Valpolicella, dove il vigneto dell’azienda si estende per circa 100 ettari. Da qui inizia il cammino dell’Amarone, uno dei grandi ambasciatori nel mondo del vino made in Italy.
La Valpolicella, una delle aree più prestigiose del panorama enologico italiano, è stata terra dedita alla viticoltura sin dall’antichità. L'etimologia del suo stesso nome: "val polis cellae" significa, infatti, "la valle delle molte cantine". Zona molto vocata alla produzione di vini di qualità, grazie anche alla sua preminente posizione collinare, presenta un territorio in prevalenza calcareo e, dal punto di vista geologico, risalente ai periodi Giurassico e Cretaceo. Il clima è generalmente mite e temperato.
L’Azienda vitivinicola San Fereolo si trova nel territorio di Dogliani nelle Langhe sud-occidentali, area delimitata dal fiume Tanaro. Come già scritto quando abbiamo raccontato i Dogliani di Anna Maria Abbona, in questa zona vitivinicola, spesso penalizzata da un’immagine inadeguata e ancorata a vecchi stereotipi, la produzione del Dolcetto oltre ad essere tradizionale, è soprattutto di particolare pregio. E se il Barolo è senz’altro il vino dei Re, il Dolcetto era per lo meno il vino del Presidente Luigi Einaudi, originario di quelle terre.
Ci troviamo dunque a sud del Barolo, il gigante italiano del vino. Anche per questo motivo, quello di Dogliani è un territorio troppo spesso ritenuto minore nel comprensorio delle Langhe, a nostro avviso in modo erroneo. Il Dolcetto che vi viene prodotto è da sempre considerato dai più un vino di uso quotidiano a fianco di quel potente Nebbiolo della domenica o delle feste. Ma quest’area meridionale delle Langhe è più alta e fresca, dal momento che ci si avvicina alle montagne dell'Appennino ligure e delle Alpi Marittime, immersa in un paesaggio variegato e più selvaggio. Un territorio costituito ancora da boschi e noccioli, ideale per un vitigno esigente come il Dolcetto che qui trova condizioni di grande favore e, senza alcun dubbio, una delle proprie migliori espressioni. Le uve più pregiate provengono da suoli collinari argillosi, calcarei e silicei, dove non è infrequente la presenza di arenarie.
L’Azienda San Fereolo nasce nel 1992 e nel giro di qualche anno il vigneto raggiunge l’estensione di 12 ettari. A San Fereolo diventa presto focale il lavoro in vigna, improntato al massimo rispetto della natura, dove la vinificazione rappresenta soltanto l’ultima fase delle lavorazioni, il giusto compimento della produzione del vino. Ogni vite viene curata nella sua individualità ma al tempo stesso nella coralità dell’insieme delle piante che la circondano. L’approccio più rispondente a questo tipo di impostazione è stato pertanto quello biodinamico.
Uno dei personaggi del Barolo che ho il piacere di conoscere da tempo e che alcuni anni fa mi guidò nella visita della sua cantina durante un mio viaggio studi, è Sergio Germano, figlio di Ettore - il fondatore della cantina che porta il suo nome - e rappresentante della quarta generazione di questa famiglia del Barolo. L’Azienda Ettore Germano si trova su una verdeggiante collina in località Cerretta, frazione di Serralunga d’Alba nelle Langhe, nella parte più orientale del comparto vitivinicolo del Barolo.
Le Langhe non sono sempre apparse così come le conosciamo oggi. Durante l’epoca geologica del Miocene, dove oggi incontriamo dolci colline ricoperte di vigneti e noccioli, un tempo trovava spazio un ampio golfo marino. Circa 15 milioni di anni fa, a partire dal periodo Elveziano, in seguito a lente ma costanti sedimentazioni cominciarono ad emergere dal mare dapprima i territori di Serralunga, a sud-est di Alba. Il processo di affioramento delle terre che durò milioni di anni, si concluse nel più recente periodo Messiniano intorno a 7 milioni di anni fa, in modo che il territorio assumesse più o meno la configurazione geomorfologica attuale. La zona dove si trova l’Azienda Ettore Germano, tra le prime del comparto ad emergere dal mare, presenta una struttura del terreno più compatta, con un sottosuolo che presenta un’alternanza di marne ed arenarie. La durezza che scaturisce da questa caratteristica dei terreni la ritroviamo poi nei vini, solitamente più strutturati e tannici, molto longevi e bisognosi di un maggiore affinamento.
Abbiamo già parlato di Alto Adige intervistando Max Niedermayr, Presidente del Consorzio dei vini di questo splendido territorio. Abbiamo anche recensito gli altoatesini Gewurztraminer Kastelaz e il Sauvignon Castel Ringberg di Elena Walch. Abbiamo dunque imparato che in Alto Adige coesistono produttori indipendenti accanto a grandi Cantine Cooperative, da sempre realtà fondamentali per lo sviluppo della vitivinicultura del territorio.
Ed oggi tratteremo proprio di una Cooperativa, la Cantina di Caldaro o Kellerei Kaltern – come sono soliti chiamare la Cantina gli abitanti del posto – oltre che di uno dei suoi vini-simbolo, prodotto con un vitigno autoctono come la Schiava. La Cantina di Caldaro è una cooperativa storica che rappresenta tutto il comune e i suoi viticultori. I vini dell’Azienda vengono prodotti nei pressi del Lago di Caldaro. Sono vini che vantano una lunga storia e vengono realizzati dalla Cantina sin dagli inizi del ventesimo secolo. Sin da quando, cioè, l’Alto Adige era parte integrante dell’Impero Austro-Ungarico. Oggi la Cantina è una Cooperativa vitivinicola che rappresenta 650 soci e ben 450 ettari di vigneti.