La passione per il vino rosso
A casa da amici mi sono imbattuto in una bottiglia-mito, il Brunello di Montalcino Biondi Santi 2001 che vi voglio raccontare. Un vino che dopo oltre 15 anni era ancora perfettamente integro, con sentori persino floreali ma non di fiori appassiti, fruttati ma non così maturi o soltanto in confettura.
Ma andiamo con ordine. La storia del Brunello inizia negli anni ’80 del XIX secolo proprio grazie alla famiglia Biondi Santi nella Tenuta del Greppo a Montalcino. Era il tempo in cui il Barone Ricasoli codificava la ricetta del Chianti come vino a base Sangiovese ma che non doveva mai presentarsi in purezza. Dove, anzi, nell’uvaggio trovavano spazio anche uve a bacca bianca.
Ferruccio Biondi Santi, invece, selezionò i migliori cloni di Sangiovese grosso, impiantandone le barbatelle su piede americano e li vinificò in purezza. Instaurò standard produttivi molto severi tagliando drasticamente le rese per ettaro del vigneto, tanto che la pratica della selezione manuale dei migliori frutti si è tramandata fino ai giorni nostri.
Ho partecipato alla manifestazione Life of Wine a Roma, dove erano in degustazione alcuni vini di importanti cantine del panorama enologico nazionale. La particolarità di Life of Wine è che le aziende partecipanti presentano almeno due annate storiche del vino prescelto, oltre a quella in commercio.
Durante i miei assaggi mi sono soffermato sulla verticale di Barolo Castellero dell’azienda Fratelli Barale, che ho avuto il privilegio di visitare nella primavera del 2015. Cantina che si trova proprio nel cuore di Barolo, in un palazzo del XIX secolo con ingresso sotto una volta ad arco. Nei sotterranei si trovano i locali adibiti alla vinificazione e all’affinamento dei vini, compreso le botti storiche.
La Fratelli Barale fu fondata a Barolo nel 1870 da Francesco Barale, proprietario di vigneti in alcune delle zone più vocate del comune oltre che nella collina della Bussia a Monforte d’Alba. All’epoca, era stato creato da poco il Barolo moderno grazie alla Marchesa Colbert Falletti e a Camillo Benso con il supporto dell’enologo Louis Oudart, come ho raccontato dopo la visita della Marchesi di Barolo risalente sempre a quei giorni di quasi due anni fa. Ma esistono tracce della famiglia Barale sin dal 1600, come risulta da antichi registri parrocchiali. In quel tempo la famiglia Barale possedeva già a Barolo i vigneti nelle zone di Castellero, Cannubi, Preda e Costa di Rose. In tempi più recenti, la Fratelli Barale fu tra i primi a vinificare il Nebbiolo in purezza da singoli vigneti. Oggi sono Sergio Barale e le figlie Gloria ed Eleonora a condurre l’azienda. Proprio Eleonora mi accolse in cantina all’epoca del mio viaggio nelle Langhe.
La cantina San Michele si trova nella zona di produzione del Capriano del Colle, piccola e poco conosciuta denominazione del bresciano. Il territorio è caratterizzato dall’altopiano del Monte Netto, dove il vigneto si distende, a un’altitudine di circa 100 m. rispetto alla Pianura Padana, su terreni compositi, con un’alternanza di strati argilloso-calcarei, di detriti, sabbia e ghiaia. Le vigne godono di un’ottima esposizione e il territorio risulta particolarmente adatto alla coltivazione della vite.
La cantina è stata fondata negli anni ’80 del secolo scorso ed è oggi condotta dai cugini Mario ed Elena Danesi. Il vigneto, che si trova in fase di conversione al biologico, è variegato, comprendendo vigne vecchie – come la vigna del Cirillo – e altre di impianto più recente. In ogni caso, anche l’uso di zolfo e rame è sempre stato molto limitato. Di proprietà della cantina è la cascina Belvedere, fondata nel 1884, anno che dà il nome alla Riserva di Capriano del Colle che abbiamo assaggiato.
Abbiamo degustato quattro annate del 1884. Le più recenti – 2012 e 2011 – sono frutto dell’assemblaggio di Merlot 50%, Marzemino 40% e Sangiovese 10%; il 2009 e il 2008, invece, sono un blend di Marzemino 40%, Sangiovese 40%, Merlot 15% e un saldo di Barbera. In tutti i casi, le uve sono vinificate separatamente. La fermentazione dura una ventina di giorni, quindi i vini sostano in vasche di cemento dove svolgono anche la malolattica. Dopo i travasi, intorno a marzo vengono messi in barrique e tonneau dove affinano per oltre un anno. Quindi i diversi vini vengono uniti e amalgamati per due o tre mesi in vasche di cemento prima dell’imbottigliamento. Il vino sosta infine in bottiglia per un anno prima della commercializzazione.
Casa di Grazia, giovane azienda vitivinicola siciliana, si estende per una cinquantina di ettari ed è condotta da una dozzina d’anni da una donna del vino, Maria Grazia Di Francesco Brunetti. L’azienda, che opera a Gela nel comparto del Cerasuolo di Vittoria, si trova in prossimità della Riserva Naturale Orientata del Lago di Biviere, un lago salato separato dal mare da un complesso sistema di dune ampio poco più di un chilometro. Questo ambiente gode di un microclima particolarmente favorevole per la coltivazione della vite: le forti escursioni termiche garantiscono lo sviluppo degli aromi nelle uve, mentre la vicinanza al mare permette alla brezza di accarezzare le vigne asciugandone l’umidità.
L’Emiryam è un Syrah in purezza, uva che alcuni storici ampelografi riconducono ad un antico vitigno mediorientale portato, in epoca greco-romana, nella zona di Siracusa. Esiste persino una leggenda che lega il Syrah alla città siciliana: si narra, infatti, che fu l’imperatore romano Marco Aurelio Probo ad importare il vitigno dall’Egitto con l'intenzione di coltivarlo in Gallia. Le sue legioni passarono dal siracusano e quii il Syrah avrebbe messo solide radici, anche se il toponimo “Syra”, come nome della città aretusea, risulta già attestato fin dai tempi dell'Antica Grecia. “Emiryam” deriva invece dalla congiunzione di Emilio e Miryam, i nomi dei figli di Maria Grazia.
Il Syrah, con cui è fatto l’Emiryam, è allevato a cordone speronato a 120 metri di altitudine, su terreni calcarei e sabbiosi, profondi, ben drenati e di origine alluvionale. L’esposizione del vigneto è a sud, con una elevata densità d’impianto di 5000 ceppi per ettaro. Le uve, selezionate in vigna, sono raccolte manualmente nel mese di settembre in piccole cassette, in modo da evitare il più possibile il danneggiamento degli acini. Le rese sono particolarmente basse, intorno ai 40 quintali per ettaro. Dopo la diraspa-pigiatura soffice, il vino fermenta in vasche d’acciaio per una decina di giorni a 25°C, per sostare poi sulle fecce per tre settimane circa. Dopo la fermentazione alcolica, il vino svolge la malolattica in barrique, dove rimane ancora per soli tre mesi, prima di affinare in acciaio più o meno per un anno. Dopo l’imbottigliamento, il vino riposa all'incirca per sei mesi prima di essere messo in commercio.
Ho incontrato Massimo D’Alema alcune settimane fa a Roma, durante l’evento legato alla presentazione della Guida dei vini essenziali di Daniele Cernilli. Davanti a me alcuni astanti dialogavano con lui del referendum. Quando è toccato il mio turno ho chiesto: - Possiamo parlare del vino? -
Il sorriso di D’Alema è stato il preambolo di una piacevole conversazione sulle scelte della sua famiglia di investire nell’azienda vitivinicola La Madeleine, nel cuore dell’Umbria, prediligendo in special modo la coltivazione e la vinificazione di uve alloctone. Tra l’altro, la conduzione tecnica dell’azienda è stata affidata a chi ha più di qualcosa a che fare tanto con l’Umbria, quanto con i vitigni internazionali. Mi riferisco a Riccardo Cotarella che, oltre ad essere il direttore dell’azienda di famiglia Falesco, è soprattutto l’inventore di molti tra i vini più premiati in Italia, tra cui citiamo giusto il Montiano, prodotto nella propria cantina.
La Madeleine è una giovane azienda vitivinicola, acquistata nel 2008, che Linda e Massimo D’Alema conducono per conto dei propri figli Giulia e Francesco, che ne sono i proprietari. L’azienda comprende 15 ettari di terreno, di cui circa 6,5 destinati al vigneto. Le vigne si trovano in collina, ad un’altitudine compresa tra i 200 e i 300 m s.l.m., tra i comuni di Narni e Otricoli, in provincia di Terni. La proprietà, al momento dell’acquisizione, si presentava in condizioni ben diverse da quelle attuali: della vecchia azienda oggi rimane il solo nome, La Madeleine, scelto dai precedenti proprietari.
Tra l’azienda vitivinicola Cavallotto e il Bricco Boschis esiste uno strettissimo legame. Quando si parla del Bricco Boschis è chiaro che ci stiamo riferendo a Cavallotto e viceversa. E non soltanto perché questo storico cru delle Langhe sia interamente di proprietà di questa famiglia del Barolo. Personalmente ho avuto il privilegio di visitare la Tenuta Cavallotto nella primavera del 2015.
Bricco Boschis è una splendida collina interamente vitata di 23 ettari che si trova nelle Langhe a Castiglione Falletto, nel cuore del comprensorio del Barolo. Di proprietà della famiglia Cavallotto sin dal 1928, dopo quasi un ventennio le uve ivi prodotte furono vinificate, dando vita ad uno dei primi vini imbottigliati con etichetta della zona.
Le colline dell’area del Barolo hanno origine geologica risalente al Miocene dell’Era Terziaria (7 – 15 milioni di anni fa). Il sottosuolo, di tipo sedimentario marino, è composto principalmente da arenarie e marne calcareo-argilloso compatte. In particolare, la zona di Castiglione Falletto è tra le più antiche del comprensorio, essendo emersa dal mare nel periodo Elveziano (tra i 13 e i 15 milioni di anni fa). Si trova al confine con i comuni di Barolo e La Morra che risalgono al periodo Tortoniano, di più recente formazione. I terreni sono caratterizzati da strati alternati di sabbie più o meno compatte, di colore grigio-bruno o giallastro, con arenarie grigie (sabbie cementate da carbonati delle acque marine) dette Arenarie di Diano, formazioni che tra l’altro contraddistinguono la Tenuta Cavallotto e il Bricco Boschis. In questa collina quindi, l’apparato radicale della vite, andrando in profondità, incontra strati di terreno di natura diversa sotto il profilo fisico e chimico.