La passione per il vino rosso
Vinitaly, la più grande kermesse del vino in Italia, forse nel mondo. È possibile incontrarvi i produttori, bere i loro vini d’annata. È già più difficile imbattersi in una verticale di Barolo Riserva di Borgogno. Degustare poi un Barolo Riserva Borgogno ultratrentennale è praticamente impossibile. Ed invece è quello che proveremo a raccontarvi.
Ma cosa vuol dire Borgogno? Perché il suo nome incute quanto meno rispetto?
L’azienda vinicola venne fondata da Bartolomeo Borgogno a Barolo nel 1761. Cento anni dopo il Barolo Borgogno veniva scelto per il pranzo celebrativo dell'Unità di Italia. L’azienda resta alla famiglia fino alla fine del 2007 quando viene rilevata da Oscar Farinetti che ne continua l’incredibile storia. Una storia fatta di tradizione, in cui la Riserva è figlia di assemblaggi di uve provenienti dai diversi cru aziendali (soprattutto Cannubi, Liste e Fossati, tutti nel comune di Barolo), dove le potature in vigna sono particolarmente severe, con l’eliminazione dei grappoli in eccesso e la drastica selezione dell’uva raccolta. Lunghe le macerazioni, lunghi gli affinamenti in grandi botti di Slavonia e in bottiglia: il millesimo 2008 da noi degustato è praticamente appena uscito in commercio.
"Tu che sei un estimatore di Cantina San Salvatore, non hai ancora bevuto il Pinot Nero?"
"Perché si sono messi a fare anche quello?"
"Si, IO lo sono andato a bere in cantina da loro!"
Non potevo resistere a questa provocazione!
Il Pinot Nero non è certo un vitigno campano, metterlo lì nella terra dell’aglianico potrebbe essere una semplice scelta commerciale, come hanno fatto tanti altri con i vitigni internazionali; ma non San Salvatore, loro quando si muovono fanno le cose con cura, ci mettono impegno e sono dei perfezionisti; non sarà il solito Pinot del Sud.
Ho ancora distintamente chiaro il brusio dei molti partecipanti che curiosi attorniano i banchetti dei produttori: nasi nel bicchiere, sorrisi, domande e scambio di battute; il tutto tra i profumi delle fantastiche forme di pecorino dell’azienda agricola Valle Scannese, che se in un primo momento lasciano pensare alla impossibilità di percepire qualsiasi altro odore, rendono solo l’atmosfera più gioviale e informale, tanto poi nel vino se la qualità c’è, si sente: eccome se si sente!
Si è conclusa da non molto a Roma la “Natural Critical Wine – Vignaioli Artigiani Naturali”, fiera dedicata ai vini naturali, una delle tante preziose eredità lasciateci da Luigi Veronelli che nel manifesto fondante il progetto scriveva: “Cercavamo il sapore della nostra sensibilità planetaria senza preoccuparci del suo sapere forse nella presunzione che un sapere l’avevamo già. E allora il primo atto di sensibilità planetaria è stato quello di interrogare il rapporto tra saperi e sapori della vita.”
Sicuramente produrre un buon vino biologico o biodinamico richiede un sapere che è approfondita conoscenza dell’ecosistema viticolo per portare uva bella e sana in cantina e la capacità di trasformarla nel tanto amato vino nel modo più rispettoso possibile adottando, per esempio, lieviti autoctoni e una bassissima dose di solfiti aggiunti.
È con questa etica che lavora anche Daniele Saccoletto, uomo il cui volto sincero dagli occhi vispi e le gote rosse e le mani da esperto agricoltore parlano tanto quanto i sui “Vini pregiati del Monferrato Casalese” come tiene a specificare lui.
L'azienda della famiglia Rubino, fondata da Tommaso negli anni Ottanta, conta oggi più di 200 ettari di vigna e, a partire dagli anni Duemila, con Luigi diventa Tenute Rubino, una delle più dinamiche realtà enoiche del Salento.
Molto attiva sul mercato estero, da cui ricava il 70% del suo fatturato, sempre di più si sta specializzando in produzioni di eccellenza, con occhio molto attento al marketing e alla cultura del vino.
Il Molise è una regione troppo spesso bistrattata, ignorata; la più giovane del Paese istituita dopo la scissione della regione “Abruzzi e Molise” nel 1963. Ha due soli capoluoghi di provincia, Campobasso ed Isernia, ed è la seconda più piccola regione d’Italia dopo la Valle d’Aosta.
E’ equamente divisa tra collina e montagna, tra le quali ci si può trovare davanti a paesaggi selvaggi e mozzafiato. Enologicamente non ha ancora raccolto molta notorietà, anche se è situata in un posto strategico dove l’escursione termica ed il clima potrebbero dare grandi soddisfazioni!
Quella dell’azienda vinicola Torraccia del Piantavigna è una bella storia quasi quarantennale dell’Alto Piemonte. 38 ettari ai piedi del Monte Rosa coltivati a Nebbiolo, Vespolina e Erbaluce che permettono la produzione dei più grandi vini della valle del fiume Sesia.
Il Nebbiolo è senz’ombra di dubbio il vitigno principe del Piemonte. Ha una fioritura precoce (prima metà di aprile) e una maturazione tardiva (ottobre). Il lungo ciclo vegetativo, se da una parte favorisce l’evoluzione di un profilo olfattivo di straordinaria finezza e complessità, dall’altra rende il Nebbiolo un vitigno difficile da gestire e naturalmente sottoposto a numerosi rischi atmosferici. Siamo abituati a pensare che il suo territorio d’elezione sia nelle Langhe e nel Roero, anche se nell’Alto Piemonte ha trovato un habitat di assoluto favore. Fatto testimoniato dal pregio di alcuni vini della zona, come i Gattinara e i Ghemme.
Ed è il Ghemme 2005 di Torraccia del Piantavigna che raccontiamo oggi, un vino che ci ha sorpreso sì, ma soltanto fino ad un certo punto. Vino che nasce dall’uvaggio storico della zona: Nebbiolo (90%) e Vespolina, uva locale che conferisce zuccheri, profumi e una certa intensità cromatica.