La conoscenza è un dono di Vino - Wine at Wine

Sicilia sud-orientale, nello splendido Val di Noto patrimonio UNESCO dell'Umanità per le testimonianze dell'arte barocca siciliana e non solo. Qui sorge un antico feudo ricavato dal sapiente restauro conservativo di una rocca settecentesca: parliamo della Cantina Feudi del Pisciotto, situata nel territorio della Denominazione d’Origine Controllata e Garantita Cerasuolo di Vittoria, comprensorio vitivinicolo che abbiamo già incontrato raccontando il Frappato di Valle delle Ferle e la verticale di Syrah di Casa di Grazia.

L’azienda vitivinicola, che si estende per 44 ettari compresi tra Piazza Almerina, Caltagirone e Vittoria, è di recente costituzione. I vigneti sono stati impiantati soltanto nel 2002 a un’altitudine compresa tra i 100 e i 250 metri sul livello del mare e a una distanza dalla costa di pochi chilometri: una favorevole posizione che beneficia delle brezze marine e delle escursioni termiche tra il giorno e la notte. La cantina produce circa 400.000 bottiglie suddivise in 16 etichette ed è di proprietà dell’editore Paolo Panerai, titolare anche di Castellare di Castellina e di Rocca di Frassinello in Toscana e che abbiamo già incontrato nel racconto del suo Chianti Classico.

Ho degustato un meraviglioso Barbaresco 2006, vino che nonostante l’invecchiamento stava in ottima forma, espressione di un grande territorio e di un grande uomo che ho avuto la fortuna di conoscere e che incontro di tanto in tanto, meno di quanto mi piacerebbe. Parlo del Barbaresco Santo Stefano, prodotto dall’azienda Castello di Neive di Italo Stupino, situata nell’omonimo paesino poco distante dal comune di Barbaresco. Neive, insieme a Treiso e San Rocco di Seno d’Elvio (frazione di Alba) e a Barbaresco è uno dei luoghi dove è possibile produrre il Barbaresco DOCG.

Neive deve il suo nome ad una nobile famiglia romana, Gens Naevia, anche se divenne un Comune soltanto verso la fine del XII secolo. L’attuale castello fu ultimato a metà del 1700, sulle fondazioni di una precedente fortificazione risalente al XVI secolo, periodo in cui Neive entrava nella sfera d’influenza sabauda. In questi luoghi, al servizio del Conte di Castelborgo, nel XIX secolo operò l’enologo e mercante Louis Oudart che attrezzò la cantina del castello e che, primo nell’area, come abbiamo visto nella storia dei Marchesi di Barolo che ho raccontato, produsse con le uve Nebbiolo un vino secco, di imponente struttura e grande longevità. Con il nome “Neive” ottenne una medaglia d’oro all’Esposizione di Londra del 1862 trent’anni prima dell’avvio della produzione del Barbaresco moderno.

 

Cantina Orsogna 1964, è un’azienda vitivinicola molto particolare. Cantina sociale, come tante ce ne sono in provincia di Chieti, nasce appunto nel 1964 nel ridente borgo di Orsogna come Società olearia e vinicola. Oggi la Cantina concentra la quasi totalità della produzione sul vino, annovera circa 600 soci per oltre 1.200 ettari di vigne ed un totale di circa 1,7 milioni bottiglie prodotte senza considerare il vino sfuso. Già in passato Wine at Wine si è occupato di Cantina Orsogna: oggi torniamo a parlarne per raccontare un vino molto particolare: la Passerina Vola Volè.

La prima cosa che fa di Cantina di Orsogna un unicum nel panorama nazionale è che oltre l’85% di questo immenso patrimonio di vigneti è certificato biologico o biodinamico. Gli ettari condotti in regime biodinamico sono circa 300 (e oltre una cinquantina in fase di conversione), caratteristica questa che rende Cantina Orsogna la più grande realtà italiana nell’ambito della produzione di queste tipologie di vino e uno dei più grandi attori a livello mondiale. Numeri impressionanti, che nascono dalla scelta strategica, presa una ventina d’anni fa, di puntare con decisione su di un’agricoltura più sana e rispettosa dell’ambiente e dell’uomo. Una scelta etica ma lungimirante al tempo stesso, che nel corso tempo avrebbe avuto un riscontro commerciale anche nel mercato internazionale.

L’azienda vitivinicola Valle delle Ferle sorge a pochi chilometri da Caltagirone, città in provincia di Catania nota soprattutto per il Carnevale e per le bellissime ceramiche che vi si producono. L’azienda si trova all’interno della zona del Cerasuolo di Vittoria, l’unica Denominazione d’Origine Controllata e Garantita della Sicilia. Siamo nel cuore della più antica strada del vino, che, secondo studi storici ed archeologici, si estenderebbe da Gela-Kamarina, attraverso le colline di Niscemi e Vittoria, passando per Caltagirone per poi proseguire verso Lentini ed arrivare fino a Catania.


Valle delle Ferle è la conclusione di un progetto, il risultato di una scelta di vita di due giovani ingegneri – Claudia ed Andrea – caratterizzata da passione, dedizione e dal rispetto per il terreno, per la vite e per il suo ciclo naturale. Con un’attenzione alla qualità che ha consentito all’azienda di avviare il percorso di conversione al regime biologico del vigneto che si concluderà quest’anno. Sorge in un luogo in cui è possibile incontrare la Sicilia più vera, sincera e autentica, con la sua terra, il suo calore e i suoi colori e profumi. Impiantato nel 1974, il vigneto si estende per 10 ettari ed è costituito interamente da Nero d’Avola e Frappato, le uve che contribuiscono anche all’uvaggio della DOCG. Parleremo oggi del Frappato vinificato in purezza appartenente alla denominazione Vittoria, uno dei tre vini prodotti in azienda.

Abbiamo già incontrato Allegrini, azienda della Valpolicella con una storia ultracentenaria nella produzione del vino, che in tempi più recenti ha esteso la sua offerta enologica ai prodotti di due tenute in Toscana. In quella occasione abbiamo parlato di una straordinaria Corvina in purezza, La Poja, da uve che non subiscono alcun appassimento. Adesso voglio raccontare la degustazione dell’Amarone Corte Giara, vino della più classica tradizione della Valpolicella, dove il vigneto dell’azienda si estende per circa 100 ettari. Da qui inizia il cammino dell’Amarone, uno dei grandi ambasciatori nel mondo del vino made in Italy.

La Valpolicella, una delle aree più prestigiose del panorama enologico italiano, è stata terra dedita alla viticoltura sin dall’antichità. L'etimologia del suo stesso nome: "val polis cellae" significa, infatti, "la valle delle molte cantine". Zona molto vocata alla produzione di vini di qualità, grazie anche alla sua preminente posizione collinare, presenta un territorio in prevalenza calcareo e, dal punto di vista geologico, risalente ai periodi Giurassico e Cretaceo. Il clima è generalmente mite e temperato.

L’Azienda vitivinicola San Fereolo si trova nel territorio di Dogliani nelle Langhe sud-occidentali, area delimitata dal fiume Tanaro. Come già scritto quando abbiamo raccontato i Dogliani di Anna Maria Abbona, in questa zona vitivinicola, spesso penalizzata da un’immagine inadeguata e ancorata a vecchi stereotipi, la produzione del Dolcetto oltre ad essere tradizionale, è soprattutto di particolare pregio. E se il Barolo è senz’altro il vino dei Re, il Dolcetto era per lo meno il vino del Presidente Luigi Einaudi, originario di quelle terre.

Ci troviamo dunque a sud del Barolo, il gigante italiano del vino. Anche per questo motivo, quello di Dogliani è un territorio troppo spesso ritenuto minore nel comprensorio delle Langhe, a nostro avviso in modo erroneo. Il Dolcetto che vi viene prodotto è da sempre considerato dai più un vino di uso quotidiano a fianco di quel potente Nebbiolo della domenica o delle feste. Ma quest’area meridionale delle Langhe è più alta e fresca, dal momento che ci si avvicina alle montagne dell'Appennino ligure e delle Alpi Marittime, immersa in un paesaggio variegato e più selvaggio. Un territorio costituito ancora da boschi e noccioli, ideale per un vitigno esigente come il Dolcetto che qui trova condizioni di grande favore e, senza alcun dubbio, una delle proprie migliori espressioni. Le uve più pregiate provengono da suoli collinari argillosi, calcarei e silicei, dove non è infrequente la presenza di arenarie.

L’Azienda San Fereolo nasce nel 1992 e nel giro di qualche anno il vigneto raggiunge l’estensione di 12 ettari. A San Fereolo diventa presto focale il lavoro in vigna, improntato al massimo rispetto della natura, dove la vinificazione rappresenta soltanto l’ultima fase delle lavorazioni, il giusto compimento della produzione del vino. Ogni vite viene curata nella sua individualità ma al tempo stesso nella coralità dell’insieme delle piante che la circondano. L’approccio più rispondente a questo tipo di impostazione è stato pertanto quello biodinamico.

Uno dei personaggi del Barolo che ho il piacere di conoscere da tempo e che alcuni anni fa mi guidò nella visita della sua cantina durante un mio viaggio studi, è Sergio Germano, figlio di Ettore - il fondatore della cantina che porta il suo nome - e rappresentante della quarta generazione di questa famiglia del Barolo.  L’Azienda Ettore Germano si trova su una verdeggiante collina in località Cerretta, frazione di Serralunga d’Alba nelle Langhe, nella parte più orientale del comparto vitivinicolo del Barolo.

Le Langhe non sono sempre apparse così come le conosciamo oggi. Durante l’epoca geologica del Miocene, dove oggi incontriamo dolci colline ricoperte di vigneti e noccioli, un tempo trovava spazio un ampio golfo marino. Circa 15 milioni di anni fa, a partire dal periodo Elveziano, in seguito a lente ma costanti sedimentazioni cominciarono ad emergere dal mare dapprima i territori di Serralunga, a sud-est di Alba. Il processo di affioramento delle terre che durò milioni di anni, si concluse nel più recente periodo Messiniano intorno a 7 milioni di anni fa, in modo che il territorio assumesse più o meno la configurazione geomorfologica attuale. La zona dove si trova l’Azienda Ettore Germano, tra le prime del comparto ad emergere dal mare, presenta una struttura del terreno più compatta, con un sottosuolo che presenta un’alternanza di marne ed arenarie. La durezza che scaturisce da questa caratteristica dei terreni la ritroviamo poi nei vini, solitamente più strutturati e tannici, molto longevi e bisognosi di un maggiore affinamento.

Ho di recente raccontato la degustazione di un vino che fa parte della tradizione dell’Alto Adige, con particolare riferimento alla zona del Lago di Caldaro. Parlo Kalterersee Classico Superiore Quintessenz – da uve Schiava in purezza – della Cantina di Caldaro, grande azienda cooperativa della zona del lago. Se tuttavia volessi suggerire un vino-emblema di questa meravigliosa regione vinicola, non avrei dubbi ad indicare il Pinot Bianco come quello maggiormente rappresentativo. Oggi vi parlerò dunque di una altro vino della Cantina di Caldaro, il Pinot Bianco Quintessenz.

Il Pinot Bianco è una nobile e di antiche origini uva a bacca bianca, che deriva con buona probabilità da mutazioni genetiche del Pinot grigio che a sua volta sarebbe imparentato con il Pinot nero. In passato è stata spesso confusa con lo Chardonnay, con cui d'altra parte condivide numerose caratteristiche. Il Pinot bianco si presenta con piccoli grappoli raccolti, molto fitti e di forma cilindrica. Il risultato visivo finale è che il grappolo assomiglia più o meno ad una pigna e, verosimilmente, anche il nome pinot deriva da questo accostamento.

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